L’importanza di una strategia terapeutica a lungo termine
Come spesso accade per i percorsi terapeutici connessi alle patologie più gravi come il Parkinson e la Sclerosi Multipla, o a quelle più diffuse, come il diabete o l’ipertensione, lo specialista individua il farmaco e il dosaggio più adeguati e il paziente dovrà assumere cronicamente le misure indicate per protrarne gli effetti nel tempo.
Perché scegliere un approccio long-term? Le cure continuative rappresentano il trattamento più indicato per i sintomi derivanti dalla complicazione di alcune patologie in fasi avanzate, in cui le cure a breve termine non sortiscono effetti visibili e duraturi. Il compito del medico specialista è tanto delicato quanto complesso: egli deve conoscere la storia dei farmaci, i dosaggi realmente efficaci e tener conto degli effetti collaterali a cui il paziente fa fronte.
Alla competenza della figura medica, da cui non si può prescindere, si associa una valida relazione con il paziente che ha inizio con la comunicazione della sua attuale situazione e della prognosi, e prosegue con la presa in carico globale del malato, anche tramite supporto psicologico e morale (se richiesto). Nell’ottica di un progetto assistenziale continuativo, un sistema di protezione-attenzione verso il paziente assume un grande valore.
Fino a pochi anni fa, il percorso di alcune malattie era abbastanza scontato: diagnosi, trattamento classico che poteva sfociare in un miglioramento oppure in un peggioramento della condizione di salute del paziente ed eventuali complicazioni. Oggi alcune di queste conseguenze sono fortemente limitate, anche grazie a farmaci e dispositivi altamente tecnologici.
Qual è l’atteggiamento del paziente rispetto alla durata prolungata del trattamento? Molti pazienti, soprattutto i più giovani, accettano questa impostazione con maggiore serenità.
I trattamenti moderni sebbene protratti per un lungo periodo di tempo, seguono cicli poco invasivi e più regolari, che – se non sono in grado di risolvere definitivamente la problematica – tendono alla cronicizzazione del disturbo e portano il paziente a uno stato di benessere e autonomia, verso la consapevolezza che conviene seguire scrupolosamente le indicazioni per ridurre al minimo i malesseri e imparare a convivere con la nuova condizione.
Occorre però considerare anche il rovescio della medaglia. Molti pazienti, in totale autonomia e senza consulto medico, interrompono la terapia prescritta perché preferiscono tollerare i disturbi e avere una qualità di vita inferiore, piuttosto che seguire con costanza, con le difficoltà che comporta, una terapia continuativa. È un approccio positivo? Assolutamente no. Stare meglio, non significa stare bene, perché i sintomi momentaneamente attenuati prima o poi compariranno ancora con gli stessi problemi.
Negli ultimi anni il sistema sanitario si è evoluto verso un modello assistenziale orientato alla promozione attiva della salute, anche attraverso un processo di riorganizzazione e integrazione delle cure territoriali e ospedaliere, al fine di migliorare il livello di efficienza, la capacità di presa in carico dei pazienti e l’empowerment del cittadino stesso. È importante che un concetto, nel 2019, diventi patrimonio dell’umanità: soffrire per un dolore non necessario, oggi, non è più una scusa ammissibile.
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